Le testimonianze che comprovano la storica presenza del prodotto nella tradizione dei luoghi sono numerose.
 
 

Il Dizionario Etimologico del dialetto Cremasco e delle località cremasche
pubblicato da Andrea Bombelli nel 1940 alla voce “salva” definisce tale “strachì da sàlva = stracchino cremasco indurito in seguito a spalmatura d’olio e conservato per l’inverno” (pag.175); tracce meno recenti permangono radicate nelle memorie familiari dei produttori e degli stagionatori, ancor oggi impegnati nella tutela e nella commercializzazione di questo prodotto.

 

 
 
Le fonti intervistate sono tutte concordi nell’attribuire l’origine semantica del nome proprio alla sua funzione, e cioè alla necessità di salvare le eccedenze di latte:
“Intorno ai primi decenni del ‘900, mio nonno ritirava il salva dai bergamini che venivano con le loro mandrie dal bresciano e dalla bergamasca e che salvavano le eccedenze di latte durante il loro tragitto. Si chiamava salva perché aveva salvato il latte in eccedenza.”
“Quando arrivava il periodo caldo il formaggio molle non resisteva a lungo. I bergamini tornavano ai monti mentre quelli che si erano fermati in pianura avevano la necessità di utilizzare il latte in sovrabbondanza e impiegarlo nella produzione di un formaggio che potesse avere una durata medio-lunga.”
 

 

Tali testimonianze rimandano al tema delle migrazioni interne con direttrice nord-sud, un importante fenomeno, rilevato dagli storici (F. Menant- Lombardia Feudale- p.46) e iniziato già intorno al X-XI° sec.
Non sembra azzardato ritenere che nel Cremasco la produzione e il commercio di caseari iniziò ad assumere rilievo dopo l’anno mille, con lo sviluppo urbanistico, quando il locus Cremae divenne castrum, borgo fortificato (F. Menant-Lombardia Feudale, p.248).
 

 

L’importanza della produzione casearia della zona è inoltre ufficialmente testimoniata dall’esistenza di un paratico dei formaggiai, di cui è andata persa la regola, elenco di codificate prescrizioni che regolamentavano ogni corporazione di mestiere.
 

 

 
A riprova del largo consumo in zona appaiono caci di diverse forme, nei numerosi quadri e negli affreschi, databili XVII° e XVIII°, dove sono raffigurate tavole imbandite o scene tratte dai sontuosi banchetti.
 

 

A tale proposito un recente studio (Gruppo Antropologico Cremasco – Crema a tavola ieri e oggi-2001) ha messo in evidenza immagini che ritraggono vistosi pezzi di formaggio e, nella cena di San Gregorio Magno, ispirata alla leggenda aurea, compare sul desco una piccola formella di salva che sembra quasi pronta per essere agguantata dall’illustre pontefice (p.225).
 

 

E ancora, risulta, in tempi più recenti, che il famoso condottiero Bartolomeo Colleoni, capitano generale della Serenissima mandato a ispezionare le fortificazioni di Crema riceveva, tra i donativi, il 26.8.1466 due forme di formaggio stagionato la cui indicazione è riconducibile al Salva Cremasco.